
La storia del ritrovamento, avvenuto per caso, è molto suggestiva e significativa.
I due guerrieri giacevano sotto un velo di sabbia, come radici di un corpo che unisce la storia alla nostra vita quotidiana: laddove noi non siamo anime erranti slegate nello spazio e nel tempo, ma il frutto di un patrimonio storico e artistico che si rivela, che è la nostra identità civile e sociale e che dà forma alla nostra comunità nella storia.
Il fisico perfetto, l'accuratissima riproduzione dell'anatomia umana, le venature del braccio e delle mani, i denti in argento, gli occhi in pasta vitrea con iride e pupilla intatti, ma anche l'assenza di scudo e di lancia e, in uno, anche dell'elmo, sollecitano la nostra immaginazione con un'idea di continuità; sembrano essere lì in attesa, come qualcosa che non è finito e che nella magia dell’incompleto comunica con la nostra fantasia.
La sublime bellezza nasce dalla commistione dei due capolavori e della loro storia.
Nascondere sotto l’espressione vivifica delle statue il peso del freddo bronzo incanta l’osservatore che quasi riesce a percepirne il respiro, i due corpi sono semplici e nudi, come nuda è la verità che non abbisogna di nulla, ove qualunque altra cosa andrebbe a corromperla e a limitarla.
La storia, invece, colloca i due capolavori come autentici esemplari dell'arte greca del V secolo a.C., quindi di 2500 anni fa, quella cultura così remota ma mai passata, mai trascorsa e a cui ancora dobbiamo guardare per orientarci e trovare risposte nel nostro vivere quotidiano.
I riacesi quel giorno aggiunsero ai due santi patroni Cosma e Damiano altri due protettori: i Bronzi.
13 ottobre 2016
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