sabato 28 marzo 2015

# kultura : Laoconte e i suoi figli

La statua fu riscoperta nel 1506 a Roma, allo scavo partecipò anche Michelangelo in persona.

L’opera si fa risalire al 40 a.c. ed è costodita nei Musei Vaticani.
La storia narra di Laocoonte, sacerdote Troiano, che scagliò una lancia contro il Cavallo di Troia per dissuadere i suoi concittadini dall’accettare il “temibile dono” .
Insomma un sacerdote che avrebbe cambiato la storia e il fato e per questo punito dagli Dei, avversi, a perire con i propri due figli Antifane e Timbreo sotto le spire di due serpenti Porcete e Caribea.
La storia è narrata anche da Virgilio nel II libro dell’ Eneide.
La statua marmorea invece viene introdotta a noi dagli scritti di Plinio il vecchio che la vide a casa di Tito, e ne attribuì la paternità a tre scultori della scuola di Rodi Agesandro, Polidoro, Atanodoro.
La potenza iconica dell’immagine ha incuriosito molti studiosi da chiedersi: ma Laocoonte grida oppure no? il suo corpo esprime morte o anche una passione diversa? oggi Laocoonte è vivo o morto?
La fisionomia del pathos non è solo di dolore.

Aretino scrittore di fine ‘400 in un dialogo tra prostitute introduce la faccia del Laocoonte per descrivere le smorfie del volto di un frate peccaminoso nel momento dell’amplesso.
Per me invece, Laocoonte non grida affatto.

Lui che voleva ribellarsi al destino urlando la verità contro il cavallo, accoglie la pena della sua irriverenza agli Dei con mistica rassegnazione.

Come un martire che muore per un sentimento più aulico e giusto, in questo caso per la verità inascoltata.
La pena non sono tanto i serpenti quanto l’onta di non essere creduto.

Il suo volto sottace la verità inascoltata. Il logos perde tutto il suo valore.

Così i due suoi figli increduli osservano il volto del padre per udir parola di salvezza che non arriverà mai. Non ci sono grida per chi ha già urlato e ormai capito verso quale sorte vanno i suoi fratelli troiani.

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