giovedì 2 aprile 2015

Antonio Berté (1936-2009)

Ho sempre pensato che l’Urlo di Munch fosse complementare ad un’altra opera, questa di Antonio Berte’.
I soggetti principali hanno lo stesso significato, rappresentati nello stesso istante della loro vita, frutto di una stessa poetica esistenziale. (visti di viso nell’Urlo e di spalle per Berte’).

Perciò ritengo che Berte’ sia prima di tutto un maestro Espressionista, laddove nelle sue opere la realtà è presente e riconoscibile, non però come ci appare, bensì come viene letta dall’artista.
La natura è solo un’imitazione del sentimento individuale.
Con la stessa irruenza e vibrante tumulto dell’Urlo di Munch, rimbomba dentro di noi l’eco profonda del silenzio dell’opera di Berte’.
Lo spettacolo inscenato dal napoletano Berte’ è calibrato sulla nostro esistenza, sul nostro vuoto, quello che vediamo è il nostro personale disagio.
Come in uno specchio ci siamo scorti, abbiamo visto nell’omino il nostro incedere di spalle,in un’esistenza che ci ha dato forfait, impenetrabile come il paese lontano anch’esso di spalle, per nulla accogliente.
Disillusi, camminiamo…il destino è irrimediabile come ne è incomprensibile il senso, ad ognuno è garantito solo il rimorso e il rimpianto per un insoddisfazione cronica che trascorre la nostra vita.
Una strana empatia tra noi e l’opera ci rimanda non al classico “cogito ergo sum” Cartesiano bensì “cogito ergo est” penso dunque qualcosa è, si ma cosa?
E chissà cos’è, forse un segreto che solo l’artista conosce, a noi è dato solo interrogarci, ripetendo tra le labbra versi ermetici di Montale:
<< ed io me ne andrò zitto tra gli uomini che non si voltano con il mio segreto >>.

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