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venerdì 26 febbraio 2016

Caravaggio non è Padre Pio

Spostare il dipinto napoletano del Caravaggio “ Sette opere di misericordia “ dal Pio Monte, non è un trasloco semplice, perché non è un “ semplice trasloco ” .
L’opera nacque in loco, a Napoli, nel 1606, per l’ente del Pio Monte della Misericordia, istituzione benefica tra le più antiche di Napoli. I sette nobili fondatori, per 400 ducati, commissionarono a Caravaggio un lavoro che racchiudesse le sette opere di misericordia corporali.
Caravaggio protetto a Napoli da Don Marzio Colonna e della Marchesa Costanza, parenti di Luigi Carafa-Colonna, il congregato che commissionò il lavoro, e che il pittore non avrebbe potuto svolgere altrove, dato che fuggiva da Roma, per aver ucciso un uomo. La posizione fedifraga rendeva il Merisi come non mai, accondiscendente con la committenza, tanto che ad opera conclusa quando gli chiesero di aggiungere dei personaggi, stranamente acconsentì.
La madonna con il bambino, in alto, nella cornice di angeli, che lo storico Ferdinando Bologna, considerò l’immagine di una perfetta popolana che si affaccia a stendere i panni tra i Quartieri Spagnoli, fu aggiunta solo in seguito al contesto, in cui il pittore aveva escluso qualsiasi forma di teofania.
Straordinaria fu la capacità del Merisi di racchiudere sette episodi diversi in un unico istante, senza forzature, come un’unica scena da presepe napoletano, senza però la natività, per una misericordia esclusivamente corporale, popolare, da vicolo di Napoli.
Tutto ciò, però, oggi, passa in secondo piano, dovendo spostare l’opera da Napoli a Roma.
Del resto come disse O. Wilde, la bellezza è meglio del genio perché non necessita di spiegazione, e quindi si preferisce traslocare questa bellezza accattivante senza l’onere di spiegarne il genio.
E a Napoli, in città cosa resterà ?
Carlo Levi, nel libro Cristo si è fermato ad Eboli, mette in bocca al contadino, in un paese di migranti, la frase: “ il Paese è fatto delle ossa dei morti “ ma, se queste ossa hanno una storia, è allora, questo il loro unico posto, finché ed affinché il Paese continui ad esistere.
Non sono mica le reliquie di Padre Pio, che girano l’Italia, avendo, ovunque una funzione taumaturgica, da miracoli solo osservandole.
Le opere d’arte non si pregano, non si toccano, non si venerano ma si custodiscono come patrimonio comune.
La loro storia è la nostra cultura, il nostro
vivere in comunità e la bellezza è nella storia.
Giovanni Negri Brusciano

domenica 27 settembre 2015

Più che Madre, Matrigna

Mentre i ” top 20 musei ” italiani rifulgono di internazionalità dopo le nomine di nuovi direttori, il museo pubblico d’arte contemporanea Madre a Napoli brancola ancora nel buio pesto di un provincialismo ottenebrante. Non è un museo libero, dal momento che si paga per entrarvi e addirittura alle serate si entra su invito. Chi mai dovrebbe invitarci a casa nostra? Luogo per cui tutti ci paghiamo le tasse. Non è popolare perché i napoletani del quartiere in cui si trova, non si sentono minimamente coinvolti. Non è nemmeno universale giacché gli artisti che vi ospita non sono universali ma soprattutto mancano di napoletanità. Completamente decontestualizzati. Insomma è un’élite per chi intende l’arte come moda e spettacolarizzazione. Non si fa ricerca, non si produce cultura, né identità, né sviluppo della persona, in pratica è una capriccio. Un museo che non genera una minima curiosità in chi vive il quartiere è una scorza vuota come le palazzine, dormitori, di periferia.

Giovanni Negri Brusciano

sabato 4 aprile 2015

Sileno o Dioniso ebbro ? di Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto


La stampa deriva dalla copia di una lastra d'argento che costituiva il fondo di una coppa, incisa da Annibale Carracci intorno al 1597-1599 per il cardinale Odoardo Farnese.i didascalia

 Benché l’iconografia venga spesso associata al Sileno ebbro della “Tazza Farnese” di Annibale Carracci. Se questo di Ribera sia Sileno o Dioniso non si sa con precisione, che sia ebbro questo è certo. Personalmente penso che il pingue e impudico uomo che domina la scena è Dioniso.
In un crudo realismo, solo la presenza del vino rende armonico il convivium, benché il luogo e le facce dei partecipanti non siano raccomandabili.
Sileno ebbro, 1626, olio su tela, Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto, Museo Nazionale di Capodimonte Napoli
Dioniso, dio del vino e della perdizione, portatore di gioia e di sorrisi, è raffigurato nell’atto di allungare il braccio per farsi riempiere il calice da Sileno. Quest’ultimo, divinità minore dei boschi, figlio del dio Pan, educatore di Dioniso e possessore del dono della divinazione, cioè la conoscenza di ciò che accade in futuro.
Sileno era solito accompagnare Dioniso ai banchetti ai quali si recava sul dorso si un’asina, presente anch’essa, in alto a sinistra, alquanto alticcia, con ai piedi un giovinetto dalla fraintendibile natura.
Nell’atto di cingere la testa a Dioniso con una corona di tralci di vite c’è Pan, dio greco dei pastori e delle campagne, monstrum mezzo uomo mezzo caprone, con barba e corna caprine, indossa la nebis, pelle di cerbiatto ed ai suoi piedi il bastone ricurvo, simbolo dei pastori, di fianco una tartaruga, simbolo di pigrizia. Indicherebbe l’ozio degli ebbri, il vivere senza affanni.
Affacciato di profilo, in alto a destra, a scorgere l’abisso, c’è Apollo, l’altra faccia della medaglia.
Le numerose antitesi tra: luce e oscurità, uomo e animale, apollineo e dionisiaco, ragione e impeto sono il senso dell’allegoria.
Lo sguardo nell’abisso di Apollo, dio delle virtù, e dell’armonia  scorge la sregolatezza dell’ebbrezza dionisiaca.
In tale atto vi è comunque la ragionevole conoscenza dell’altra anima dell’esistenza irrequieta e intuitiva.
« E se tu guarderai a lungo in un abisso anche l’abisso vorrà guardare dentro di te » - Nietzsche.
Vedere l’altro da se e dunque se stessi.

venerdì 20 marzo 2015

#kultura: Banksy a Napoli

Anni addietro un inserto immobiliare recitava: ” Vendesi opera di Banksy con casa attaccata “. Del più conosciuto writer sulla faccia della terra non ci è dato conoscerne la faccia.
Una forma di denuncia alla società delle apparenze? o l’ennesima conseguenza della totale sottomissione alle rigorose leggi della notorietà?
Di Banksy, come per la Gioconda, non sapremo mai chi realmente sono.
Ma possiamo immaginare cosa sarebbero stati se l’avessimo saputo,
ebbene ben poca cosa come il loro messaggio.

Del segreto che custodisce questi personaggi, ci siamo costruiti un personale feticcio di evasioni, che con il passare del tempo abbiamo continuato a nutrire di assenza fino a consolidarne in ciò tutta la loro essenza.
Banksy, un misto tra Batman e Gesù, che di notte posa, come un fascio di luce, il suo stencil sui muri della città denunciando solo ciò che tutti denunciano.
È popolare. Un predicatore moralista, troppo politically correct per essere un writer. Sine ira et studio, senza ira ne pregiudizi.
Un conformista qualunque, tutti lo amano, e ne apprezzano le opere perché non sanno qual è il suo volto.

Il suo oscillare tra notorietà e anonimato però si è bloccato a Napoli.
Dove si raggiunge il paradosso: il suo primo stencil unico autentico in città è stato coperto da un graffitaro, lasciando illibato solo il secondo stencil.
Illibato si ma poco autentico!
Cioè, non si sa se è suo o di un anonimo, ancor più anonimo di lui.
Che grattacapo per Banksy!
Che senso avrebbe questa madonna con pistola in piazza Gerolomini? Una troppo comune mammasantissima con pistola ?
Ma no, a me sembra più Maradona, sempre avvezzo ai palleggi di testa. Un Maradona che in piazza Gerolamini si concede un passaggio di testa, al volo con gli altri scugnizzi.
Eallora qual è la denuncia verso il mondo capitalistico? Chissà, per capirlo  servirebbe un pensatore comune, come per capire tutte le sue opere.
Giovanni Negri